Avvocato Diritto Ambientale Roma
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Luglio 9, 2021Il Consiglio di Stato si è di recente pronunciato sulla legittimità dell’ordine di demolizione arrivato dopo molto tempo dall’abuso edilizio e in merito alla scelta della P.A. di non procedere con l’ irrogazione di una sanzione alternativa.
I giudici amministrativi con la sentenza n. 3412 del 28 aprile 2021 , hanno approfondito alcuni interessanti argomenti che stanno alla base dell’ordine di demolizione emesso ai sensi dell’art. 34 del DPR n. 380/2001
(Testo Unico Edilizia).
Nel caso di specie, infatti, il ricorrente chiedeva la riforma di una sentenza del TAR che aveva confermato l’ordine emesso dal Comune per la demolizione di opere consistenti nella realizzazione di un locale autonomo di mq 50,00 ed alto mt 3,50 diviso in tre ambienti, attaccato ad un manufatto preesistente, nonché di un muretto di protezione in blocchi di lapil-cemento e sovrastanti tegole, lungo 8 mt, alto 1,2 mt con cancello in ferro.
L’appellante ha basato il suo ricorso su due motivazioni:
- con la prima viene contestato il tempo di realizzazione dei manufatti che sarebbero state “realizzate anni addietro” senza che l’Amministrazione avesse indicato la loro epoca di edificazione o accertato l’inizio e l’esecuzione di nuove opere, limitandosi a constatare la presenza di una struttura già completa in tutti i suoi
elementi essenziali; - con la seconda viene contestato il fatto che la demolizione del manufatto determinerebbe danni alla struttura preesistente, cui è strettamente collegato.
Orbene: In riferimento alla prima motivazione del ricorso, è ormai pacifico che non occorre una motivazione specifica in relazione al tempo intercorso o alla proporzionalità della sanzione ripristinatoria all’uopo da emettere, non risultando l’Amministrazione procedente titolare di un potere discrezionale, implicante una scelta in ordine alla tipologia di sanzione in concreto da assumere.
L’ordine di demolizione di un manufatto abusivo è un provvedimento vincolato, come tutti gli atti sanzionatori in materia edilizia, tale da non richiedere una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.
Pertanto, non dovendosi bilanciare l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso con l’interesse privato alla conservazione di un’utilità, risalente nel tempo, conseguita in assenza del necessario titolo abilitativo, la demolizione risulta congruamente motivata mediante la descrizione del manufatto realizzato e l’indicazione della norma violata.
Nel caso di specie, l’ordine di demolizione conteneva tutti gli elementi richiesti:
- descrizione del manufatto realizzato;
- indicazione della norma violata.
Inoltre, la verifica della data di realizzazione dell’abuso, determinante in presenza ad esempio di un vincolo a partire da una certa data, è un onere di chi ha commesso l’abuso. Secondo il Consiglio di Stato “spetta a colui che ha commesso l’abuso, l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo; non può quest’ultimo limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferendo il suddetto onere di prova contraria in capo all’amministrazione”.
Nel caso di specie, non avendo la parte ricorrente dimostrato che le opere risalivano ad un’epoca in cui il regime amministrativo applicabile al diritto di edificazione non richiedeva il previo rilascio del permesso di costruire o comunque di analogo titolo edilizio, non può denunciarsi l’illegittimità dell’ordine di demolizione di opere abusive, per non avere il Comune accertato la datazione della loro realizzazione.
In riferimento alla seconda motivazione del ricorso, l’art. 34 del DPR n. 380/2001, nel disciplinare gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevede, al secondo comma, che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione”.
Secondo il Consiglio di Stato, la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione. In quella sede, le parti ben possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato asseritamente derivante dall’esecuzione della demolizione delle opere di ampliamento per cui è causa.
La questione circa la possibilità di emettere una sanzione alternativa alla demolizione deve essere posta nella fase esecutiva.
Altro punto su cui si è dibattuto riguarda la circostanza per cui le opere realizzate non incidano sui parametri urbanistici esistenti. Questa circostanza secondo il Consiglio di Stato risulta irrilevante ai fini del giudizio, ben potendo essere disposta la demolizione di opere realizzate in conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia di riferimento, ove difettino del prescritto titolo edilizio abilitativo.
In particolare, la mera esecuzione di interventi in assenza del prescritto permesso di costruire, ai sensi dell’art. 31 DPR n. 380/2001, giustifica l’applicazione della sanzione demolitoria, rilevando l’eventuale conformità sostanziale delle opere alla disciplina urbanistica ed edilizia ai soli fini della presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/2001 (accertamento di conformità).
Peraltro, anche l’eventuale presentazione dell’istanza di accertamento di conformità potrebbe influire sull’efficacia dell’ordine di demolizione, non eseguibile in caso di sopravvenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ma non sulla sua legittimità.